Di Gianluigi Passaro.
Il Sacre du Printemps racchiude e descrive il cammino di individuazione che ognuno è chiamato a tracciare e a percorrere. Esso è come un vento che avvolge e sostiene, ma nasce nell’attesa e attinge la sua forza nell’attimo che precede il primo soffio.
Il Vento chiede movimento per esistere: l’aria quieta e immota non può dirsi Vento. Tuttavia, se si abbandona ad un’attesa nutriente, desiderosa di mostrarsi e di vivere l’incontro, se anela all’altro e cerca le parti di cui si sente mancante, allora, pur stando ferma, cammina, anche immobile e persa, essa è Vento. E il Vento accoglie in sé tutto ciò che ci appartiene: sa carezzare come una brezza; è dolce come Zefiro quando porta lontano semi e pollini, spande profumi e vita; sa essere forte quando sferza terre e mari; diviene violento e distrugge quando è tempesta.
Così è la nostra anima quando vive un’attesa piena e fertile, quando varca il confine e cerca il limite, quando trova il cibo dentro di sé, si nutre di relazioni, di paure, d’amore e di voce, di rabbia, di luce e di notte, perché anch’essa ci vuol bene. Perché la notte, con le sue lune, le sue tenebre, la sua capsula di stelle, è la pancia in cui riposa il pane del giorno passato, ed è il grembo che custodisce il mattino, il lievito perenne della vita.